Le piante appartenenti al genere Quercus, per il loro portamento maestoso, la longevità e la capacità di adattarsi a climi difficili e suoli poveri, rappresentano per l’uomo simboli di forza, saggezza e immortalità. Oltre al loro significato storico e culturale, avendo fornito all’uomo e agli animali fonti di alimento (ghiande) e legna da ardere e da costruzione, le querce rivestono da sempre un importante valore ecologico. Esse contribuiscono all’arricchimento del suolo grazie alla formazione dello strato di humus e costituiscono un habitat ideale per numerose specie animali e vegetali che abitano il sottobosco. Tra le specie più diffuse troviamo la roverella (Quercus pubescens Willd.), la quercia più rappresentativa dell’Europa centro-meridionale e dell’Italia. Grazie alla sua spiccata rusticità, la roverella è in grado di resistere alla siccità, al freddo e agli incendi, adattandosi a suoli di diversa natura, sebbene prediliga quelli calcarei. Per queste caratteristiche, viene spesso utilizzata nei progetti di rimboschimento ed è una delle specie più impiegate per l’ottenimento di piante tartufigene destinate alla realizzazione di tartufaie coltivate o al mantenimento di quelle controllate. La roverella, infatti, è una delle piante simbionti preferite dal tartufo nero pregiato (Tuber melanosporum Vitt.) per l’instaurazione della simbiosi micorrizica. A partire dalla seconda metà del XX secolo, la possibilità di produrre piante micorrizate ha permesso la coltivazione di T. melanosporum, la cui raccolta in ambiente naturale è oggi minacciata da cambiamenti climatici, chiusura e ombreggiamento del soprassuolo, nonché dal sovrasfruttamento degli habitat. Nonostante l’ampio utilizzo della roverella, le conoscenze sullo sviluppo del suo apparato radicale, soprattutto in presenza di propri residui colturali, sono ancora scarse. Questi residui — come foglie, radici e ghiande cadute — potrebbero esercitare effetti allelopatici negativi sullo sviluppo della pianta stessa. Nel presente studio, giovani piante di roverella sono state allevate in contenitori in diverse condizioni sperimentali, utilizzando un substrato base inoculato con T. melanosporum al quale sono stati aggiunti residui autogenici in due diverse concentrazioni (10% e 20%) e ammendante organico, sia singolarmente che in combinazione fra loro. I risultati hanno mostrato che, pur in assenza di differenze significative nella lunghezza dell’apparato radicale, si è osservata una tendenza inversa tra sviluppo radicale e tasso di micorrizazione, suggerendo una risposta adattativa della pianta in condizioni di stress nutrizionale. Dal punto di vista epigeo, le piante coltivate in substrati contenenti residui autogenici hanno evidenziato una maggiore produzione fogliare, attribuibile alla degradazione dei residui e al rilascio di nutrienti, che nel tempo ha favorito l’efficienza nutrizionale in associazione alla simbiosi micorrizica. Tuttavia, un’elevata micorrizazione è stata correlata a una riduzione dei valori riguardanti il contenuto in clorofilla (SPAD), indicando una possibile limitazione dell’efficienza fotosintetica dovuta al maggiore consumo di carbonio e azoto da parte del fungo simbionte. Nel complesso, i trattamenti con residui autogenici, soprattutto se combinati con ammendanti organici, si sono dimostrati efficaci nello stimolare la micorrizazione e nel migliorare la fisiologia delle piante in fase vivaistica, offrendo prospettive interessanti per la produzione di piantine tartufigene di qualità.
SVILUPPO DELL’APPARATO RADICALE DI Quercus pubescens IN RISPOSTA A DIVERSE CONDIZIONI AMBIENTALI IN VASO
FRASCARELLI, EMILY
2024/2025
Abstract
Le piante appartenenti al genere Quercus, per il loro portamento maestoso, la longevità e la capacità di adattarsi a climi difficili e suoli poveri, rappresentano per l’uomo simboli di forza, saggezza e immortalità. Oltre al loro significato storico e culturale, avendo fornito all’uomo e agli animali fonti di alimento (ghiande) e legna da ardere e da costruzione, le querce rivestono da sempre un importante valore ecologico. Esse contribuiscono all’arricchimento del suolo grazie alla formazione dello strato di humus e costituiscono un habitat ideale per numerose specie animali e vegetali che abitano il sottobosco. Tra le specie più diffuse troviamo la roverella (Quercus pubescens Willd.), la quercia più rappresentativa dell’Europa centro-meridionale e dell’Italia. Grazie alla sua spiccata rusticità, la roverella è in grado di resistere alla siccità, al freddo e agli incendi, adattandosi a suoli di diversa natura, sebbene prediliga quelli calcarei. Per queste caratteristiche, viene spesso utilizzata nei progetti di rimboschimento ed è una delle specie più impiegate per l’ottenimento di piante tartufigene destinate alla realizzazione di tartufaie coltivate o al mantenimento di quelle controllate. La roverella, infatti, è una delle piante simbionti preferite dal tartufo nero pregiato (Tuber melanosporum Vitt.) per l’instaurazione della simbiosi micorrizica. A partire dalla seconda metà del XX secolo, la possibilità di produrre piante micorrizate ha permesso la coltivazione di T. melanosporum, la cui raccolta in ambiente naturale è oggi minacciata da cambiamenti climatici, chiusura e ombreggiamento del soprassuolo, nonché dal sovrasfruttamento degli habitat. Nonostante l’ampio utilizzo della roverella, le conoscenze sullo sviluppo del suo apparato radicale, soprattutto in presenza di propri residui colturali, sono ancora scarse. Questi residui — come foglie, radici e ghiande cadute — potrebbero esercitare effetti allelopatici negativi sullo sviluppo della pianta stessa. Nel presente studio, giovani piante di roverella sono state allevate in contenitori in diverse condizioni sperimentali, utilizzando un substrato base inoculato con T. melanosporum al quale sono stati aggiunti residui autogenici in due diverse concentrazioni (10% e 20%) e ammendante organico, sia singolarmente che in combinazione fra loro. I risultati hanno mostrato che, pur in assenza di differenze significative nella lunghezza dell’apparato radicale, si è osservata una tendenza inversa tra sviluppo radicale e tasso di micorrizazione, suggerendo una risposta adattativa della pianta in condizioni di stress nutrizionale. Dal punto di vista epigeo, le piante coltivate in substrati contenenti residui autogenici hanno evidenziato una maggiore produzione fogliare, attribuibile alla degradazione dei residui e al rilascio di nutrienti, che nel tempo ha favorito l’efficienza nutrizionale in associazione alla simbiosi micorrizica. Tuttavia, un’elevata micorrizazione è stata correlata a una riduzione dei valori riguardanti il contenuto in clorofilla (SPAD), indicando una possibile limitazione dell’efficienza fotosintetica dovuta al maggiore consumo di carbonio e azoto da parte del fungo simbionte. Nel complesso, i trattamenti con residui autogenici, soprattutto se combinati con ammendanti organici, si sono dimostrati efficaci nello stimolare la micorrizazione e nel migliorare la fisiologia delle piante in fase vivaistica, offrendo prospettive interessanti per la produzione di piantine tartufigene di qualità.File | Dimensione | Formato | |
---|---|---|---|
SVILUPPO DELL’APPARATO RADICALE DI Quercus pubescens IN RISPOSTA A DIVERSE CONDIZIONI AMBIENTALI IN VASO.pdf
accesso aperto
Descrizione: Tesi laurea magistrale in SAT della studentessa Frascarelli Emily (matricola 1107378) dal titolo: SVILUPPO DELL’APPARATO RADICALE DI
Quercus pubescens IN RISPOSTA A DIVERSE CONDIZIONI AMBIENTALI IN VASO
Dimensione
4.67 MB
Formato
Adobe PDF
|
4.67 MB | Adobe PDF | Visualizza/Apri |
I documenti in UNITESI sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.
https://hdl.handle.net/20.500.12075/22307